Nuove stalle per i giovani allevatori di Gerosa: “Produrremo Strachìtunt e resteremo a vivere in valle”
Si svegliano presto la mattina, quando il sole non è ancora sorto. Spaccano la legna, raccolgono il fieno, curano le vacche. E hanno un sogno: restare a vivere nella loro valle.
Sono storie fuori dal comune quelle di Marco Offredi, 20 anni, e di Fulvio Fantini, 27 anni, di Gerosa. Sono storie di due giovani che investono su loro stessi, storie di due ragazzi che restano aggrappati alle tradizioni, storie di coraggio e di lucidità. Storie belle, da raccontare.
Marco e Fulvio hanno scelto di riprendere il filo di una tradizione di famiglia caduta in disuso, quella dell’allevatore e del casaro. I progetti per le loro stalle nuove, entrambe a Gerosa, a pochi metri l’una dall’altra, sono stati approvati e riceveranno il contributo PSR della Comunità Europea gestito da Regione Lombardia.
Marco sogna di poter tornare dall’alpeggio già l’autunno prossimo e di condurre le sue diciannove vacche nella nuova stalla. Poi, magari, di prenderne altre, di iniziare a lavorare il latte e produrre lo Strachìtunt.
Di questo mestiere sempre più raro si è innamorato quando era poco più di un bambino, per puro caso: “Mio fratello è stato il primo ad andare in alpeggio, quando io ero un bambino – racconta -. La mia passione per questo mondo è nata proprio lì, quando lo andavamo a trovare. A 12 anni ho iniziato a lavorare, a seguire i primi alpeggi fermandomi solo un paio di settimane. Poi, due anni fa, ho fatto l’intera stagione, da giugno a fine settembre”.
La stalla di famiglia, costruita negli anni ’80 e affittata a terzi dopo la morte del nonno, è stata l’occasione per Marco di lanciarsi nel mondo imprenditoriale: “Le prime otto mucche le ho prese dopo aver compiuto i diciotto anni, quando ho anche aperto l’azienda. Me le hanno vendute i Locatelli – spiega -. Per far partire l’attività ho investito tutti i risparmi messi da parte con quei primi lavori estivi che avevo fatto. Non è facile, la burocrazia è tanta e con tutto quello che c’è da fare con la stalla e con gli animali il tempo non sembra essere mai abbastanza. Ma cerco di cavarmela”.
Il sogno di Marco, ora, si chiama formaggio: “Spero di riuscire anche a produrre – conferma -. Amplierò la stalla per gli animali, ci saranno venticinque posti per le vacche in mungitura e per i vitelli. Poi avrò il caseificio nella parte vecchia, al piano di sotto. Sopra, invece, vorrei aprire il negozio per vendere. Per ora, comunque, continuerò a conferire il latte alla Cooperativa Sant’Antonio”.
La nuova stalla di Fulvio, invece, sarà un po’ più spaziosa: “Sarà per trenta vacche in lattazione, più quelle che ci stanno in questa vecchia, circa tredici. Adesso ne ho una trentina: alcune le curo io, altre mio papà in alpeggio”.
Fulvio arriva da una tradizione familiare di allevatori: “Mio padre – ricorda – da giovane si faceva tre mesi d’alpeggio in alta montagna, mentre in inverno si trasferiva nella Bassa a fare il bergamino. Quando ero giovanissimo ho fatto l’elettricista, poi il boscaiolo. Ma il lavoro non era abbastanza, così, quando i miei genitori mi hanno detto di essere intenzionati a chiudere l’azienda che era di mio nonno, ho deciso di mettermi in gioco. Ho già imparato tante cose, come fecondare le vacche o far nascere i vitelli”.
“Portare avanti il tutto non è facile. Mio papà mi da una mano nel concreto – spiega ancora Fulvio -, ma per le spese mi sono arrangiato sempre da solo. Per far quadrare i conti tante volte, finito il lavoro in stalla alle sei e mezza del mattino, vado a tagliare legna tutto il giorno, o imballo il fieno per chi ne ha bisogno. Anch’io sogno di iniziare a produrre lo Strachìtunt, che mi porterebbe una nuova entrata interessante. È il formaggio per il quale mi viene da dire che è meglio investire, perché c’è tanta richiesta. Chiunque abbia due vacche oggi vende taleggio, invece lo Strachìtunt lo fanno in pochi e solo qui. In montagna è di sicuro più difficile farlo rispetto alla pianura, qua non puoi mai pensare di avere tutto. Ad esempio ho tutti i terreni dove pascolano le vacche in affitto, ma non è sempre facile ottenerli perché la gente è molto legata alle sue proprietà e non sempre le concede”.
Ma come passano la giornata questi ragazzi? “La mattina la sveglia suona alle 5 e alle 8 ho già finito i lavori in stalla. Spiega Marco -. Se c’è bel tempo vado a spargere letame e a rompere la legna. In estate c’è tutt’altro lavoro: la raccolta del fieno ti porta via intere giornate. La sera, alle 17, torno in stalla e alle 19.30-20 finisco. Quando piove e quando nevica mi butto sulle carte, perché in fin dei conti si tratta di portare avanti un’azienda. Ogni volta ti chiamano, c’è qualcosa da firmare, una pratica da sbrigare… Come gestire l’attività l’ho imparato da solo: ho frequentato la scuola di agraria dove ho studiato economia aziendale, ma era la base del niente. Adesso è tutto elettronico”.
“L’anno prossimo dovrei iniziare a ristrutturare la stalla – racconta ancora Marco -. C’è il contributo del PSR della Comunità Europea gestito da Regione Lombardia, che dovrebbe finanziare al 55% il mio investimento. Però i permessi di costruzione, le domande in Comune, i preventivi… È una cosa molto lunga. Non vedo l’ora di avere a disposizione i nuovi spazi: sarà lo stesso lavoro ma con un po’ più di resa. Il mio futuro? Lo vedo solo qua, in Val Taleggio: È impensabile che io vada a vivere da un’altra parte, la mia scelta è stata quella di restare sicuramente sul territorio. Con la stalla nuova la speranza è che il lavoro si possa ampliare ed evolvere con la produzione di stracchini e Strachìtunt. Ho già fatto due esperimenti: uno non è uscito molto bene, l’altro mi fa ben sperare”.